A partire dagli
anni’80 Massimo De Chiara avvia una lunga serie
di ricerche sulle potenzialità espressive del
design, soprattutto in rapporto con l’arte.
Tra 1983, e fino e fino alla seconda metà degli
anniI '90, si preoccupa di
evidenziare questo rapporto, talvolta in termini
di utilizzo dei materiali, recuperando quelli
ormai considerati obsoleti ed appartenenti alla cultura
mediterranea, talaltra recuperando antiche e
degradate lavorazioni, come ad esempio le
lavorazioni al tornio, nelle sue varie
applicazioni, al fine di ottenere sia prodotti
finiti, sia come lavorazioni di base da
manipolare e modificare per ricavare nuove
forme.
Altre
volte ancora esasperando le ricerche sul piano
formale, operando contaminazioni inusuali o
spingendo gli stessi materiali usati alle
estreme conseguenze della loro lavorabilità
intrinseca.
Tutto ciò diversamente dai primi anni settanta, nel corso
dei quali sperimentò la possibilità di
sviluppare la pratica del design a Napoli, e nel
mezzogiorno, mediante l’utilizzo di semilavorati
industriali a supporto della creatività dei
designer e della esperienza operativa degli
artigiani.
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La nuova
visione, posta alla base delle sue ricerche ed
in linea con il pensiero di altri visionari
maestri del design artigianale, primo fra tutti
Ugo La Pietra, tendeva a recuperare agli
artigiani un ruolo importante, rendendoli
protagonisti di una “produzione diffusa” in cui
le diverse competenze specifiche, coordinate
dal designer, avrebbero potuto dare vita ad una
sorta di “industria soft”, per sua natura non
affannata dalle problematiche delle industrie
“pesanti” del nord, da contrapporre ad esse,
creando un design autonomo e, nel contempo, una
occasione di sviluppo economico. Questo modello
prevedeva una attività agile, basata su piccoli
numeri, in grado, grazie alla sua flessibilità,
di variare piuttosto facilmente le
linee di produzione, di ridurre il numero di
ciascun prodotto, ma di diversificare
maggiormente le collezioni. Maggior numero di
prodotti, ma limitando il numero per ciascuno di
essi.
Pur non tralasciando la necessità di
sottolineare uno stretto rapporto con
l'espressione artistica, avviò una ricerca
mirata alla produzione seriale.
In concomitanza con tali ricerche, proprio
all'inizio degli anni novanta, si ebbe
l'opportunità di una collaborazione con una
realtà industriale bergamasca:
per la Acerbisform furono realizzati
alcuni progetti ed uno di essi, il tavolino
basso in lamiera "Vesuvio", fu presente nello
stand dellìAzienda al salone del Mobile di
Milano del 1990.
Sempre nel '90 fondò la "OggettiPrtogetti snc" con i
collegh.i architetti Esposito, Santaniello,
Vigneri e Bonagura (quest'ultimo poi sostituito
da Artese) e, grazie alle collaborazioni con
un'ottima squadra di artigiani, furono così
realizzati e distribuiti numerosi oggetti
e complementi, inizialmente in piccola serie,
alcuni dei quali ebbero anche riconoscimenti
importanti.
Alla conclusione di quella sperimentazione
produttiva, ebbe inizio un nuovo percorso con
l'assunzione dell'incarico di Direzione
Artistica per una piccola realtà produttiva
napoletana che intendeva affrontare
l'introduzione del design nel proprio catalogo.
In quegli anni fu realizzata e distribuita in
Italia la collezione "Artdesign" del Cantuccio
della Ceramica.
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