L'attività
professionale di Massimo De Chiara non è mai stata disgiunta
dall'attività culturale. Egli ha sempre inteso come un
"unicum" il suo operare. Per questi motivi i progetti
realizzati per le "mostre" non sono linguisticamente lontani
da quelli pensati e realizzati per l'immissione nei circuiti di mercato.
Anzi, l'assunto teorico presente nei primi, diviene il parametro ed il
criterio di approccio progettuale per i secondi. I suoi oggetti, pur
rispondendo ai punti fondamentali dell'ambito disciplinare del design,
sono ricchi di contenuti che ne esaltano la funzione estetica, oltre che
sottolineare quella d'uso.
La sua "napoletanità" è tuttavia discreta, quasi nascosta,
addirittura piuttosto difficile da riconoscere. E' un modo
"mentale" di essere legato alla cultura della propria
incredibile terra.
E' possibile riconoscere nei suoi "segni" e
nelle sue "costruzioni" progettuali, pur mancando qualsivoglia
tratto oleografico, tutta la memoria storica e intellettuale che ha
caratterizzato la città nei secoli.
Ma
è possibile cogliere, e questo con maggior evidenza, precisi riferimenti
al pullulare di "vita creativa" che Napoli e il suo popolo
manifestano con ironia, atteggiamento giocoso, intento di suscitare meraviglia,
teatralità, orgoglio sessuale, superstizione e, soprattutto, infinito
coraggio e voglia di sopravvivere.
Le sue opere o, per non dispiacere nessuno, "operette", il cui
linguaggio è però molto poco "dialettale", nascono da questo
miscuglio di colto e popolare, da questa alchimia di sacro e profano.
Il
suo design tende a restituire agli oggetti un ruolo centrale nello spazio
abitativo.
Gli oggetti devono tornare ad essere il punto focale delle
azioni umane.
Molte "serie", in seguito anche autoprodotte, sono nate intorno ad
una favola: è il caso delle brocchette innamorate,
che,
invaghite del proprio padrone di
casa , fanno a gara per attirare la sua attenzione; o dei mobili che,
stanchi delle disattenzioni degli uomini, decidono
di camminare e cinguettare; o ancora degli oggetti
di uso quotidiano e comune che, sentendosi
superflui, scelgono di uscire di scena emigrando in
un altra dimensione spazio-temporale a bordo di una
fantastica astronave-fruttiera.
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