Page 8 - LIBRO FARE DESIGN
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G li anni Settanta, o meglio la seconda parte di essi,
furono anni che potrei denire prevalentemente di
approfondimento formativo e di riessioni sul
rapporto design-artigianato.
Una volta ottenuta la laurea, nel 1974,
rapidamente compresi che avrei dovuto superare
il gap tra la mie conoscenze scolastiche e il mondo
reale, con le sue fasi operative, le sue esigenze
e i vari limiti imposti dal mercato. In realtà io ero particolarmente
interessato a capire le modalità di realizzazione dei progetti, i processi di
lavorazione dei materiali ed i vari trattamenti degli stessi. Cominciai,
così, a frequentare le prime botteghe dell'artigianato produttivo,
osservando, rubacchiando trucchi e tecniche, studiando le potenzialità
di attrezzi e macchine. Il mio obiettivo, però, non era quello di
comprendere ed imparare a gestire un sistema di diverse lavorazioni
destinate ad ottenere risultati convenzionali, bensì quello di
impadronirmi di sufcienti conoscenze al ne di utilizzare tali processi
per un loro reindirizzamento verso nuovi percorsi ed in particolare verso
il design. Nella nostra realtà, come in tutte quelle prive di una presenza
industriale di settore, l'artigianato di produzione (un tempo artistico) era
ampiamente diffuso ed operativo in attività diversicate,
prevalentemente impegnato in lavorazioni talvolta specializzate, ma
quasi sempre di scarsa valenza culturale ed economica.
La maggior parte delle botteghe si erano, nel tempo, trasformate e
degradate no al punto di accettare un ruolo di anonimi comprimari al
servizio di piccolissime aziende, a loro volta culturalmente degradate, ma
tuttavia capaci di realizzare un inserimento in un modesto mercato. In linea
di massima esse sopravvivevano realizzando, in serie innite, parti di
oggetti o di mobili (gambe di tavoli, ante di componenti da cucina,
elementi torniti meccanici, fusioni metalliche cimiteriali, etc.) in una
condizione di ripetitività ossessiva, e costituendo l'indotto di una produzione
di inmo livello qualitativo. L'esperienza sul campo rivelò, oltre a questi
aspetti negativi, anche un fatto importante: sebbene questi operatori del
settore fossero in larga massima dotati di tecnologie alquanto limitate e,
talvolta, primitive, si mostravano però in grado, sfruttando le proprie
capacità manuali e spingendo al limite delle possibilità gli ausili
tecnologici, di raggiungere risultati notevoli superando, con una
insospettata inventiva, difcoltà impensabili. A questo punto si trattava di
capire se e di quanto sarebbe stato possibile deviare i loro interessi da un
lavoro di routine, che però gli garantiva la sopravvivenza, verso una
operatività più creativa, ma certamente rischiosa.
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