Page 20 - LIBRO FARE DESIGN
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a prima metà degli anni 80 fu caratterizzata, da
                      L          ulteriori studi sui vari movimenti artistici e il loro
                                 rapporto con il design e anche dalla ricerca di una
                                 nuova autonomia espressiva. La commistione tra le
                                 riessioni  degli  ultimi  anni  Settanta  e  l'inuenza
                                 dell'incombente  teoria  postmodernista,  oltre  che
                                 quella neomodernista di “mendiniana” memoria, ci
                                 consentirono di  riavviare  un  complesso  processo
                progettuale che, pur tenendo  conto del contesto, soprattutto in termini
                di potenzialità operative, proponeva soluzioni più aderenti alle  nuove
                tendenze internazionali. Tuttavia non si trattò di una fase attraversata
                con atteggiamento passivo, ma fu una coraggiosa sperimentazione che,
                contaminando le diverse espressioni linguistiche no a quel momento
                sondate, tendeva ad un risultato di vera e propria innovazione.
                Negli oggetti di quel periodo, e nelle architetture, conuivano non solo
                gli stilemi del mondo classico, intesi sia come memoria che come scorie
                del passato, ma anche altri elementi estranei che, provocatoriamente
                ed ironicamente, invitavano ad evitare ogni equivoco. Quei progetti non
                miravano  certamente  a  rappresentare  il  bello  assoluto,  essi  non
                rispettavano  alcun  canone,  erano  puri  esperimenti  e  volevano  solo
                esortare alla partecipazione, alla riessione ed al dibattito.
                Tra il 1981 ed 1983, anno in cui fu poi organizzata "Oggetti/Progetti
                Uno  -  Prima  mostra  del  Nuovo  Design  Napoletano"  (1),  tappa
                fondamentale per i successivi sviluppi del design a Napoli e nel Sud, ed
                anche in conseguenza dei diffusi fermenti culturali della seconda metà
                degli  anni  Settanta,  si  sentì  fortissima  l'esigenza  di  un'azione  di
                rilevamento che consentisse una verica dei mutati interessi dei giovani
                architetti che, sempre più numerosi, si rivolgevano al design per potersi
                esprimere e realizzare, essendo stata loro negata, per vari motivi, ogni
                possibilità di intervento nell'architettura e nell'urbanistica.
                A  tal  proposito  afferma  Gerardo  Pedicini,  critico  d'arte  e  attento
                indagatore  dei  fenomeni  culturali  meridionali,  riferendosi  a  quel
                periodo: "La consapevolezza di non essere più il centro di una possibile
                nuova visione urbanistica, se non in una posizione subalterna rispetto
                agli interessi della classe politica dominante, strettamente legata ai
                promotori della speculazione edilizia (il lm di Rosi, Le mani sulla città,
                docet), portò i futuri architetti a riversare le proprie attenzioni sul Design,
                come unica via operativa per riconciliare la propria libido creativa con il
                patrimonio antropologico-culturale del territorio". (2) A quella mostra
                dell'83 furono presentati, unitamente a quelli di altri  quattordici giovani
                architetti,  progetti  che  rispondevano  a  tutte  queste  istanze.
                Come  nel  caso delle lampade da parete Pulvino o  di Presenza, nuovo

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