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La condizio-
ne moderna, o per meglio dire post-
moderna, è caratterizzata da una insignificanza dei valori
e dal divario che si è venuto a istituirsi tra realtà e immaginazione. Nel
saggio Simulacri del potere e potere dei simulacri, pubblicato nel n.20/21 della rivista
Ágalma da lui fondata, Mario Perniola traccia una attenta analisi del rapporto tra reale e imma-
ginario. Ne individua i legami esistenti e le “conseguenze sociali e psicologiche dei mass media, dell’in-
dustria culturale, della nuova pubblicità” che hanno portato al dissolvimento sia della politica, sia della cultura.
Ne esce un quadro preciso e dettagliato. Da qui un incrocio di interrogativi. Quali le cause del divario tra pensiero e
azione? Come superare la “designificazione del reale”, “la sua insignificanza, la sua idiozia? In altre parole come uscire, da
un lato, dal suo carattere semplice, particolare, unico, indistintamente fortuito e, dall’altro, come evadere da una concezione di una
cultura spettacolarizzata, completamente ripiegata su sé stessa, ben sapendo che è lo specchio deformante della stessa realtà storica, in
quanto ne designa la sua totale incapacità e impermeabilità a sostenere dei veri significati? Nodi complessi, niente affatto semplici. Il punto
da cui partire è la consapevolezza dello stato di inutilità della realtà e della cultura; situazione che non deve essere affatto ignorata, al contrario
deve essere affrontata con spirito critico, analizzata in ogni suo aspetto ed “estesa e generalizzata”, in quanto è la base di partenza per ricomporre la
frattura creatasi tra realtà e cultura, l’unica via possibile per riempire il vallo adrianeo che ci consentirebbe di superare, dal di dentro, il senso di inutilità
e nichilismo che attanaglia la coscienza dell’uomo contemporaneo e che ci indicherebbe la via per uscire, con “spirito critico”, dall’inane asservimento ai
processi merceologici del potere economico. Queste le basi su cui hanno costantemente operato i gruppi come l’ Archimass che, ancor prima di produrre
nuovi oggetti di design, si sono posti il problema di mettere ordine nel sistema dell’arte, di ridiscutere, approfondendole, le tematiche ideologiche che sono alla
base fenomenologica dell’arte interrogandosi sulle proprie radici, sulla valenza o meno della propria cultura. Come ho avuto modo di esporre nell’introduzione
al catalogo della VII Rassegna di Design, l’Archimass Laboratorio avvia la propria indagine partendo da quanto scrive in I corpi e le cose Enrico Bellone. Secondo
Bellone il modo con cui veniamo a conoscenza del mondo e come lo trascriviamo dipendono dalle “sensazioni che abbiamo nell’esplorare l’ambiente e la descrizione
di quest’ultimo, insieme alla folla di comportamenti che ciascuno esibisce per adattarsi alla nicchia. Adattamento che si realizza grazie a processi che avvengono nei nostri
corpi e che, nella stragrande maggioranza dei casi, sfuggono completamente alla nostra consapevolezza”. Quest’ottica presuppone quindi una visione kantiana che indi-
vidua, come parte essenziale la conoscenza della casualità e delle relazioni spazio temporali: il che varrebbe ad ammettere che la ricerca artistica, o meglio l’investigazione
artistica, non segue un processo ordinato nel suo sviluppo ma scaturisce da una somma di processi preordinati che procede senza nessun fondamento epistemologico che
non sia il risultato della “natura evolutiva e non intenzionale dei manufatti”, come se questi ultimi fossero “ottusamente obbedienti alle nostre aspettative”. Il che è assoluta-
mente inconcepibile. L’opera d’arte di contro segue un procedimento metodologico. È di fatto un percorso logico, è la risposta che si invera tra competenza ed esecuzione,
è insomma il processo, secondo quanto afferma Hjelmslev, che “viene ad esistere grazie al fatto che c’è un sistema sottostante che lo genera e determina nel suo sviluppo
possibile”. Un processo a cui presiedono delle regole di base che assumono “il valore di un modello generativo (in senso chomskiano), ossia di una “grammatica che genera la
serie pressoché infinita” dei modelli inventivi. Attraverso l’impiego “comune di un metodo deduttivo estrapolato non tanto dai codici delle lingue naturali, quanto dai sistemi
linguistici artificiali” (Menna), nasce l’opera d’arte. In altre parole dall’intreccio tra cultura e storia. A questa istanza mi sembra vada ricondotto il percorso creativo degli arti-
sti-progettisti che si confrontano in questa iniziativa, e in altre ispirate alle ricerche dell’Archimass e degli altri gruppi come l’Aleph e il gruppo Zero. Altrimenti si rischierebbe
di impantanarsi nel deserto chiassoso, plurale della condizione moderna, di questo - come dice Baudelaire - paesaggio piovoso, dove gli spazi metropolitani sono diventati
luoghi del superfluo e dell’inutile, un accumulo di segni, un reticolo elettronico dove l’individuo si smarrisce o si perde. Dove allora ricercare un porto franco, un ambito
da sottrarre all’uniformità globale del mondo in modo che la memoria individuale non si perda insieme alla memoria collettiva nel “tentativo di ricomporre in un disegno
unitario nel suono di una parola o di un nome in cui le cose possano di nuovo” avere la pienezza come esistenza compiuta per l’uomo”? (Rella). Uno spazio beninteso
sottratto a qualsiasi investimento capitalistico, ma anche a qualsiasi ipotesi di restauro rigenerativo dei segni del passato. Questo è l’ambito entro cui si sono mossi questi
sperimentatori. Uno spazio - direi - domestico, quotidiano che ruota intorno alla possibilità di rinnovare, con piccoli gesti, il mondo più vicino alla loro consuetudine
visiva nel tentativo di ripercorrere con occhi rinnovati tranches della nostra cultura, darle significato, senso, nuovo spessore. Da qui, il senso del loro immaginario
mediterraneo che è stata alla base della loro ricerca. Da queste istanze progettuali sono nati vasi, leggii, specchiere, taccuini, lampade, tovaglie, posacenere, chaises
longues, portariviste, oggetti musicali, ecc. che vengono così a disporre un universo di senso per cui la “struttura significativa”, di cui l’oggetto porta le tracce,
espellendo da sé il significato di alcune forme inautentiche del mondo, diventano “forme coerenti di espressione dell’anima umana” (Goldman), in quanto,
penetrando nella segretezza della forma e della loro storia diventano il segnale di confine spaziale entro cui, secondo l’indicazione di Simmel, “l’Essere e il
Non-più-essere della cosa sono la stessa cosa”. Questo processo avviene attraverso l’impiego di materiali diversi. Legno, ottone, ceramica, rame, ferro,
ecc. sono chiamati infatti a dispiegare questo universo di segni linguistici. Sia quando accedono con semplici procedimenti all’unicità razionale
del percorso creativo, sia quando cadenzano con gioiosa e partecipe fantasia ironica il confine tra due latenti opposizioni, sia quando con stu-
pore e meraviglia rincorrono immagini profonde dell’inconscio, sia quando istituiscono con arditi accostamenti formali un rapporto tra
inventio e ordine naturale e storico delle cose. Insomma, in ciascuno degli artisti-designers, con il supporto, l’esperienza e la fattiva
collaborazione degli artigiani, agisce un’azione profonda dove arte, tempo e connessioni culturali, come tante seducenti idee
di piacere, si intrecciano con evidenti valenze estetiche, al fine di rinnovare lo spazio della nostra quotidiana esistenza
alla ricerca dell’intervallo perduto di cui parla Dorfles e dello scambio simbolico tra competenza ed esecuzione di
bachelardiana memoria. Ulteriore segno di questo mondo fantasioso dal forte accento mediterraneo si
è aggiunto anche la donazione, ogni fine d’anno, la pubblicazione di un calendrier, in cui
in forma di résumé viene offerta al pubblico l’estesa campionatura del lavoro
annuale di ciascun operatore, a testimonianza della loro fedeltà al
progetto iniziale tessuto da tenace e coerente bellezza.
Gerardo Pedicini